Chi sei?
Sono Giovanna Sansoni, ho 61 anni e sono docente universitario presso l’Università di Brescia. Sono sposata con Franco Docchio, ho due figli, Lorenzo e Stefano e un gatto (il Sci). Sono un animale da bar: mi piace vedere la gente passare e figurarmi come sia la sua vita.”
Cosa volevi fare da grande?
“La parrucchiera.”
Uno dei tuoi sogni?
“Diventare quello che faticosamente sono ora.”
Quali sono le tue passioni?
“Mio marito, i miei studenti.”
Autore preferito?
“Jo Nesbo.”
Quali sono i tuoi valori di riferimento?
“Essere di parola.”
Come sei arrivato a fare quello che fai oggi?
“Con tenacia, senso del dovere, un’immensa fatica.”
Come racconti a tuo figlio/figlia che lavoro fai?
“Racconto loro che faccio un mestiere pagato dalla Pubblica Amministrazione, e che gestisco come se fosse una Partita Iva: senza Sabati né Domeniche.”
Com’eri da bambino/a?
“Occhialuta (come ora), introversa, insicura, golosissima e intelligente.”
Qual è stato il tuo primo lavoro?
“Lo stesso di oggi.”
Hai incontrato ostacoli nel tuo percorso?
“Come tutti, certamente.”
Hai incontrato persone che ti hanno aiutato?
“Moltissime, mio marito in primis.”
Come affronti le difficoltà?
“Con pazienza, coraggio e tenacia. Quando ne sono capace.”
Che cosa vuol dire per te essere imprenditore oggi?
“Avere il coraggio di assumermi il rischio di fare ciò in cui credo, a tutti i livelli.”
Perché hai scelto di fare quello che fai?
“Perché lo amo, e perché la vita me lo ha permesso.”
Come è partito il progetto Clab?
“Per me tutto è partito per caso, una sera a cena Franco, mi ha parlato di questo progetto di Contamination Lab, all’epoca non davo alcun significato a quelle parole, anzi ero un po’ diffidente, anche se già interessata ad argomenti come le Fab Lab, e alle modalità didattiche differenti dalla didattica normale. Successivamente Franco mi rende noto che l’università ha sottoposto al MIUR un progetto all’interno di un bando, dal nome Contamination Lab.
Decidiamo quindi di partecipare nel 2017, di fare il progetto e di chiedere un finanziamento, arrivando primi tra i non finanziati e quindi il progetto non parte. Mi viene però poi comunicato da Franco che il nostro ateneo avrebbe messo a disposizione un budget di 50.000€ per il 2018, ma li sì fermò il tutto per qualche mese.
Io però volevo fare qualcosa di diverso rispetto e oltre alla didattica ed alla gestione di laboratorio che come Responsabile di un gruppo di ricerca faccio, sapendo quindi del budget a disposizione, che in quel momento ancora nessuno stava usando, mi dissi “Io ci Provo!”, successivamente mi resi conto che nel 2016 il MIUR aveva emanato delle linee guida in cui si parlava di contaminazione come della chiave di volta, uno strumento utilizzato per avviare una comunità di giovani dentro alla quale portare avanti un percorso di educazione all’imprenditorialità. Quella per me fu un’illuminazione.”
Sono una donna curiosa e alla quale piace cambiare, quindi in quel momento mi sono detta:” cos’è questa educazione all’imprenditorialità?”, questa curiosità e questa propensione al cambiamento partono anche dal fatto che con la nostra attività di ricerca, e con mio marito Franco abbiamo fatto partire un certo numero di realtà imprenditoriali, di Spin off, quando ancora non era ‘di moda’ che le università lo facessero.
Da sempre io e Franco lavoriamo per far sì che la ricerca non rimanga una cosa seppellita in un laboratorio a prendere polvere, ma crediamo fortemente che debba essere utile, deve essere un prodotto utile ed utilizzabile (come lo è il burro quando lo compri all’Esselunga, lo apri, fai gli spaghi e lo utilizzi. Capimmo inoltre, che c’era un enorme gap, a tutt’oggi incolmato, tra il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ricerca, questo a prescindere dal sistema paese. Noi iniziammo tra il 1997 e il 1998, periodo ancora ben lontano dalla crisi del 2007, questo perché gli imprenditori giustamente hanno utili da fare, e logiche, che però agli universitari medi, nella norma, sono sconosciute, e viceversa.
Nella mia esperienza l’imprenditore è colui che viene a chiedere di fare il ponte sullo stretto di Messina a 1200€, perché l’imperativo è spendere poco, ma per il ricercatore quello che importa (giustamente) è di fare ricerca e costruirsi la propria carriera.
Ho sempre creduto che il mio lavoro non sarebbe stato privo di significato se non fosse stato utile a qualcuno, e ho sempre avuto una spinta per aiutare le persone con cui lavoro.
Non concepisco una lezione d’aula asettica, in cui io non sono me stessa e non do quello che sento, e per dare tu devi avere dentro e devi poter ricevere.
Qualunque cosa io faccia ha senso nella misura in cui c’è questo scambio, sennò non mi diverto, ho la necessità di fare cose nuove, che mi piacciano e che raggiungano le persone.
Quindi quando mi sono posta la domanda ‘cos’è questa educazione all’imprenditorialità?’, ho letto una miriade di informazioni in merito, e ho anche interagito con il pool di colleghi che aveva fatto la richiesta, tra cui Franco, Mario Mazzoleni, Roberto Savona, e ho cercato di capire di cosa si stesse parlando.
Alla fine, ognuno con i propri impegni e le proprie priorità, e io fortemente convinta che questa cosa fosse importante, decido nel maggio 2018 di portare avanti questo progetto, prendendo informazioni, leggendo e informandomi su cosa facessero all’estero, e ho capito che non era una moda ma era una cosa che si poteva fare che aveva la sua ragione d’essere. Fu così che mi innamorai di questo progetto, e ne scrissi la prima versione tra ottobre e novembre, scoprendo che anche altri Atenei ne avevano fatte loro versioni, ciascuno declinandole sulla base della propria sensibilità.
Scrissi la prima versione cercando di capire chi potesse entrare in questo progetto, quindi investì del tempo per studiare, per conoscere realtà, imparando cose nuove e nuovi termini, perché ero molto lontano da tutto questo.
Ho trovato in Riccardo Trichilo, presidente di CSMT polo tecnologico, una persona che ha sposato a pieno questo progetto, così come Franco e le altre persone che fanno parte del progetto.
Proprio perché volevo rendere tutto questo più concreto, e vero, decisi di trascorrere una settimana a Cagliari, scoprendo che il loro Ateneo aveva già fatto partire anni prima questo progetto, e che questo era uno dei più evoluti, anche per il fatto che nel loro territorio non è presente un tessuto produttivo e industriale paragonabile al nostro. quindi i ragazzi hanno bisogno di andare avanti e giustamente l’ateneo di Cagliari essendo molto grande e ricco di competenze ha fatto un giusto ragionamento, non avendo struttura produttiva, non avendo industriali, però avendo dei fondi che mi arrivano dalla regione quello che investo nei ragazzi non lo voglio perdere quando poi i ragazzi lasciano l’isola e vanno nel continente qualunque esso sia, perché per me è un valore perso, ho bisogno invece che loro tornino e per ritornare devono mettersi nel mood di chi fa un’azienda.
Questa educazione all’imprenditorialità, ha una grossa valenza, cioè non è necessariamente per diventare imprenditori, ma serve per diventare imprenditori di sé stessi, facendo un percorso intimo, che lo aiuti a conoscere sé stesso, i suoi lati positivi, negativi e ad uscire da tanti meccanismi che noi abbiamo, come quello che sbagliare e da perdenti, che sbagliare è vietato, ma cominciare a pensare che fare esperienza significa infilare un errore dietro l’altro, perché le cose che ti vanno dritte al primo colpo le dimentichi. Quando una torta lievita subito, ti dimentichi la ricetta; se invece non lievita, vedrai che te la ricorderai!
Mi appassiona molto poter dare ai ragazzi, qualcosa che l’università solitamente non dà. Storicamente l’università era nata come un luogo di aggregazione in cui c’era il Magister e le persone che lo seguivano e imparavano da lui, si basava molto su una relazione stretta tra la persona, il Magister, e i suoi discepoli, tuttavia con il passare dei secoli, degli anni, l’università è rimasto un posto per eletti, dove si erogano delle nozioni, ma spersonalizzando moltissimo, perciò tu entri con dei perfetti sconosciuti, in un aula sconosciuta, con un docente sconosciuto che ti parla di cose conosciute a lui ma non conosciute a te, e normalmente non si mette nell’ottica di dover presentare la materia in maniera tale che tu te ne possa innamorare, perché alla fine è questa cosa qui.
E questa è una contraddizione in termini, perché se c’è una cosa non Universitas, è l’università così com’è e come l’ho vissuta da quando ero studentessa fino a non molto tempo fa.
Quindi, nel mio piccolo mi sono chiesta: come faccio a collegare il mondo dell’università, cioè i ragazzi, al mondo dell’imprenditoria? Non con i dogmi, non con le leggi, non solo con i finanziamenti, lo fai con le persone. Devi poter trasmettere alle persone che questa possibilità c’è, e far camminare insieme fisicamente, in un luogo che sia una comunità, i ragazzi che vanno a fare questo processo, e che in questo luogo fisico, dove le persone ti parleranno di quello che farai, ti porteranno anche un po’ di sé, le loro emozioni e metteranno il loro tempo per te e per tutti quanti.”
Perché Contamination e perché Lab?
“La contaminazione è una delle possibili chiavi di letture per far diventare le persone imprenditori di sé stessi, che vuol dire sviluppare: resilienza, resistenza alla fatica, capacità di superare l’errore, capacità di mettere in comune le proprie idee, gestire il conflitto, gestire l’impopolarità, non molare mai la presa, credere in se stessi, credere nei propri valori e condividerli con le persone, per capire che un’impresa è prima di tutto una convergenza di valori, sentiti talmente tanto nella pancia, che quella cosa qualsiasi cosa capiti, tu vai avanti e sai che non vai avanti da solo.
Questo non è un concetto che passa nel day by day, anzi passa al contrario, perché tu vedi un imprenditore e dici: ‘questo è un uomo di successo…’. In realtà dietro c’è un lavoro immane, oggi come oggi, o tu non molli mai e credi in quello che fai, oppure ne sei imprenditore in un’azienda ne sei imprenditore di te stesso, segui solo l’andamento e basta.
Quindi la contaminazione è inclusione, diversità e mettere insieme, quindi condividere e competere, perché non dimentichiamoci che competere è comunque necessario, seguendo la logica del rovescio per come la vede Giovanna, un esempio: competere viene letto come sgomitare, in realtà, competere significa andare insieme a qualcun altro verso lo stesso obiettivo, che vuol dire condividere gli stessi valori, altrimenti ci sarebbe poco da fare, come se io, Franco, Silvia e Mariasole, non condividessimo i nostri valori questo progetto non potrebbe andare avanti, e non saremmo arrivati dove siamo oggi.
“Vivrei questo momento, non come un momento istruttivo, di valore e di vita, ma come una perdita di tempo. Quindi, contaminazione significa condividere e competere, quindi è importante condividere con persone diverse da te.
I consigli di amministrazione fatti solo da persone della stessa generazione, della stessa cultura, della stessa fede, sono molto meno creativi e anche resilienti alla fatica che non consigli di amministrazione o core del business molto diversificati tra di loro, è più difficile ma è molto più fruttuoso.
Quello che vogliono fare è far diventare l’università un luogo in qui tutto questo di cui il mondo si sta accorgendo, diventi concreto.
La Parola Lab invece, che a me piace molto perché in un laboratorio tu lavori, quindi si creano delle modalità di condivisione di vita insieme, per cui tu ci metti del tuo, ci metti la tua faccia, il tuo tempo, il tuo sforzo, la tua fatica, i tuoi difetti, la tua simpatia, cioè ci metti tutto te stesso.
Dopo aver vissuto una settimana a Cagliari, e dopo aver studiato come facevano a fare le cose, dopo aver fatto i miei ragionamenti lasciandomi contaminare da loro, da buona perfezionista, decido quindi una volta tornata a casa, di stravolgere il progetto e in 15 giorni nel periodo Natalizio, lo riscrivo.
Gli unici che avevano visto il progetto originario son stati mio marito Franco e il formatore tecnico Francesco Agostini, che attualmente ha in mano il progetto, che vedendolo mi disse che gli piaceva molto di più l’impostazione di quello nuovo e che potevo buttare quello vecchio. L’impostazione di questo nuovo progetto non è finalizzata a creare degli spin off, ma ho voluto che fosse finalizzato ad essere come una palestra, in cui tu ti devi cambiare, sudi, puzzi, fai fatica, lo fai insieme ad altri, che puzzano sudano e fanno fatica come lo stai facendo tu, e poi quando si finisce l’allenamento, si condivide la fatica e la soddisfazione di esserci riusciti. Il processo e stato pensato in due grandi fasi, la fase in cui io do a te, cioè semino, e la fase in cui tu dai a me, o meglio a tutti noi, cioè in cui si raccoglie. Cioè la fase in cui io do a te, che sei un buon terreno, che io semino con delle buone semente e annaffio, quindi con gli eventi e corsi fatti. Per poi passare alla seconda fase, in cui tu dai a tutti noi, in cui abbiamo formato dei team e adesso devono agire, in cui fanno e si mettono in gioco.
Nel corso del tempo poi ho presentato il progetto a Silvia Agnelli, che a sua volta le ha presentato Mariasole Bannò, loro a loro volta hanno subito condiviso questo progetto dando i loro Input, e tu sei uno di quelli dati da Silvia, da lì lo staff si è ingrandito e si è rinforzato. Abbiamo progettato insieme e questo ha fatto sì che la cosa diventasse più concreta.
Quando cominci a dire facciamo questa cosa, non ci dormi la notte, perché incominci a diventare qualcosa in cui tu metti te stesso.
Ci sono molte cose innovative in questo progetto, ad esempio come è stata fatta la selezione, perché non è stata una vera e propria selezione, non abbiamo guardato il CV in termini di medie, e performance curricolari, noi volevamo sapere se la persona era motivata, meglio se aveva fatto il cameriere, il barista, meglio se fuori corso, perché le persone fuori corso, se vedi che poi si sono mantenute agli studi, fanno il barista o altro, ti fai anche una ragione del perché.
Abbiamo fatto anche tante ore di presentazione in aula e le persone che hanno aderito hanno capito quale fosse il nostro mood, non dormimmo però fino a metà ottobre, perché non si era registrato nessuno fino a dieci giorni prima, giorno in cui le iscrizioni sono salite a 86.
Il Team che poi ha fatto la selezione, è un Team contaminato, fatto da docenti dell’università, da sponsor e da imprenditori, e ognuno ha valutato condividendo le regole ma non con giudizio, quindi chi è entrato nel percorso ha già vinto un terno all’otto, perché non era facile passare dai pettini di valutazione, di persone che vengono anche dal territorio.
Credo molto nella mia istituzione, cioè nell’ateneo, e credo che il futuro dell’università sia in una compenetrazione capillare con il territorio, perché dal ministero arrivano sempre meno soldi.
Faccio questo lavoro dall’86, e ci sono stati periodi di vacche grasse, in cui io non avevo il potere, per cui vedevo questa gente che metteva corsi di studio, faceva, brigava e non capivo il perché, (c’erano molti soldi) poi sono arrivate le vacche magre, e adesso vorrei quasi dire che non ci sono più le vacche, quindi è fondamentale per l’università allacciarsi al territorio, e per il territorio andare dove l’innovazione c’è qualche probabilità che avvenga.
Tenendo conto che il territorio giustamente sceglie dove prendere l’innovazione, e non è detto che la prenda dall’università degli studi di Brescia, a maggior ragione quindi, l’università deve esserci insieme al territorio, ecco perché questo progetto è nato.
Ancora prima di passare negli organi decisionali, dal CDA e dal senato accademico, c’erano già degli sponsor, che non pensavo sarei mai riuscita a convincere, ma ho capito che non dovevo farlo. Mi è bastato parlare e far capire loro la mia motivazione e quello che mi spingeva a voler portare avanti questo progetto, e questo convinse gli sponsor, che si dichiarano sostenitori, perché ci credono.”
Com’è adesso il Clab rispetto a quando è iniziato?
“Adesso è qualcosa di indescrivibile. A fronte di un grande lavoro di back office, poi però passo del tempo con loro, mi dico sì sì sì! È giusto, è questo che devo fare! Perché devo dire che i ragazzi mi stano dando molto di più di quanto io mi aspettassi.
Un aspetto fondamentale al di là dei corsi, è che questa è una comunità, e i ragazzi lo sentono, tutti quanti stanno condividendo questo percorso, io, Silvia e Franco stiamo imparando, tutti quanti stanno imparando, e sono tutti stupiti del fatto che questa cosa sia possibile, aldi là dei vincoli e delle istituzioni che per altro sono importati.
Questo è un percorso extra curricolare, e così deve rimanere per mantenere la sua unicità e la potenza al suo interno, le opportunità che stanno dando a loro stessi e ai ragazzi sono straordinarie, un esempio è quello del teatro, uno strumento innovativa, che per me, Silvia e Mariasole è stato molto importante partecipare. Per Mariasole dal punto di vista organizzativo e per me e Silvia perché siamo state istruite insieme ai ragazzi.”
Io ho scelto di fare la parte di una segretaria timorosa, di un capo che è un Clabber, che recitava anche urlando, interpretando proprio la parte, e vedere tutti i ruoli ribaltati, secondo me è una cosa imprescindibile, i ragazzi che vedono noi andare a lezione proprio come loro, che facciamo le cose che fanno anche loro, che impariamo e ci stupiamo come si stupiscono loro, e allo stesso modo che li riprendiamo quando c’è da riprenderli, cioè si crea proprio un qualcosa che secondo me è unico, anche nei difetti.
I valori che mi spingono sono due, uno è la curiosità e il fatto che mi diverte da morire, il secondi è proprio aiutare, supportare e questo fa parte di me.
Come è stato trovare i primi sponsor?
“Gli sponsor attuali sono arrivati per vari motivi ad esempio per BCC chiedeva come sostenere gente con delle belle idee, e io gli ho detto che le belle idee non scendono dalla pianta e da lì facemmo qualche colloquio. CSMT e Techne metrologia hanno condiviso subito il mood e gli obiettivi e lo stesso anche Confartigianato.”
Che messaggio vorresti mandare a potenziali sponsor?
“Che con il Clab puoi selezionare personale a colpo sicuro, dare un contributo importante nella formazione dei giovani.
L’imprenditore ha un’importanza fondamentale, per portare avanti l’importanza dell’imoprenditoria e per il futuro formativo dei ragazzi.
I ragazzi escono dall’università convinti che la fatica che hanno fatto per imparare le cose sia più che sufficiente: in realtà la sorpresa è che devi continuare, perché la parte tecnica vale per un 25/30%. Questo valeva anche per noi, ma noi avevamo molto più tempo, avevano più tempo per sbagliare, per studiare e per recuperare, i ragazzi adesso invece, hanno un grosso problema cioè che il tempo è molto limitato e le cose cambiano rapidamente, sui social dai esempio devi essere trasparente, questo lo hanno imparato negli workshop, non puoi avere diverse immagini in diversi social deve esserci un senso.
Quando i ragazzi vanno sul mercato scoprono che si sono fatti un mazzo tanto ad ingegneria e alla fine prendi lo stipendio di un dipendente qualunque senza laurea, alla faccia che il valore deve essere riconosciuto.
O uno è consapevole, oppure vai a prendere un lavoro qualunque, ma nella maggior parte dei casi vai a fare un lavoro che non ti piace.”
Cosa diresti ai ragazzi e ragazze che vogliono avvicinarsi al CLab?
“Più che ai ragazzi direi qualcosa ai genitori. Se io fossi un genitore, vedere mio figlio mia figlia a cui brillano gli occhi farebbe molto la differenza: vederli entusiasti, vederli sul pezzo, vedere che fanno fatica per qualcosa in cui credono, mi lascerebbe molto tranquilla e soddisfatta.”